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Intervista a STEFANO BESSONI, regista di IMAGO MORTIS

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A cura di Gianfranco Poliseno

 

In esclusiva vi proponiamo l’intervista al regista italiano Stefano Bessoni realizzata appositamente per voi. Ma chi è Stefano Bessoni? Nato a Roma nel 1965. Allievo del maestro napoletano Mario Scarpati, il quale,tramandandogli delle particolari tecniche calcografiche e facendogli conoscere maestri come Dusan Kallay, Roland Topor, ecc. gli ha aperto le porte alla sua straordinaria visionarietà che attua tutt’oggi nelle sue pellicole. Peter Greenaway, il suo maggiore punto di riferimento, per l’affinità di tematiche e per l’instancabile ricerca nella manipolazione delle immagini. Regista del film indipendente FRAMMENTI DI SCIENZE INESATTE e del più conosciuto IMAGO MORTIS (2008), è ora al lavoro su un nuovo film, KROKODYLE.

a Mario

 

1. Sig. Bessoni, come è nata in lei la passione cinematografica? Cosa l’ha spinta ad intraprendere questo percorso artistico?

 

Sono una persona che è ossessionata dalle immagini e che per trasformare questa patologia in qualcosa di costruttivo altra scelta non ha avuto del dedicarsi al cinema. Comunque, al cinema sono arrivato tardi, verso i ventotto, trenta anni. Ho iniziato come illustratore, dopo una deviazione scientifica verso studi dedicati alla zoologia e all’anatomia, e tutt’ora disegno per visualizzare le mie idee.

Gli autori che stimo e che inevitabilmente influenzano il mio lavoro di regista, sono tutti autori fortemente caratterizzati, riconoscibili dopo poche inquadrature e che possiedono uno stile inconfondibile ed una poetica molto vicina alla mia. Ammiro Jean Pierre Jeunet, per il suo mondo grottesco, fumettistico, colorato, poetico. Tim Burton, per il suo universo bambinesco ma oscuro, incentrato sulla diversità. Peter Greenaway, per il suo rigore scientifico e pittorico e per il suo essere barocco, enciclopedico, artificioso e anacronistico. Guillermo Del Toro, per i suoi personaggi usciti direttamente da un vecchio libro di fiabe. Roman Polansky per la poesia del racconto, la malinconia e per la sua teoria del complotto e la fobia per gli spazi chiusi. Terry Gilliam per il suo folle baraccone di curiosità e stranezze che lo trasforma in un moderno Barnum. E poi sicuramente Jan Svankenmajer ed i fratelli Quay, pionieri e scienziati pazzi di quella stramba disciplina che è l’animazione in stop-motion.

 


2. Lei, insieme al sig. Cruciano avete fondato il F.W.Murnau Institute, un istituto cinematografico: spera di tirare fuori qualche nuovo artista da questa scuola? E quali influenze ha avuto F.W. Murnau, grandissimo regista, sulle sue opere?

 

Una grande influenza, come tutto l’espressionismo tedesco del resto. La scuola vuole essere un punto d’incontro per tutti coloro che vogliono addentrarsi nel fare un cinema fantastico, che affonda nell’inconscio e nel perturbante, indagare e sperimentare con un cinema come forma espressiva e dove possibile non contaminato dalle imposizioni commerciali.


3. Con Imago Mortis, la sua penultima pellicola, ha aperto la strada ad un nuovo filone horror made in Italy, oppure pensa di dedicarsi a tutt’altro genere?

 

In questo momento vorrei tanto scrivere una commedia nera, una commedia macabra infarcita delle mie passioni e di tutti i miei elementi caratterizzanti.

Fare un film di genere oggi in Italia, ed in particolare un horror, significa esporsi ad un grosso rischio e avere gli occhi di tutti puntati addosso. Il film è stato caricato di una responsabilità enorme, ovvero di riavviare in Italia un genere da tempo assopito: se il film va bene “E’ rinato l’horror in Italia”, se il film va male “L’horror in Italia è definitivamente morto”. Io ho cercato di fare un film a tinte horror che non cedesse allo splatter e che fosse impregnato delle mie passioni. L’ho fatto onestamente, seguendo le indicazioni dei miei produttori e cercando di superare una serie infinita di ostacoli che non mi metto ad elencare. Cristina Borsatti (FilmTV) lo ha definito “il primo film del nuovo cinema horror italiano” e devo dire che questo è un bellissimo complimento, direi addirittura un augurio. Continuerò su questa strada anche se non voglio fare film senza approfondimenti di mie tematiche personali e privi di uno sguardo autoriale. Sicuramente ce la metterò tutta per correggere i difetti, per caratterizzare il mio stile e la mia poetica e per cercare di arrivare a fare qualcosa che possa soddisfare il pubblico e la critica. Penso comunque che sia un riduttivo leggere “Imago Mortis” semplicemente come un film horror. Il film nasce dal desiderio di costruire una favola nera incentrata sull’ossessione per le immagini, una fiaba gotica popolata di spettri terribili, di ragazzi indifesi che cercano di sfuggire ad un gioco sanguinario e di anime candide che, dopo un esistenza tormentata, non esitano a sacrificarsi nel nome del bene. E’ un film sulle immagini e sul loro utilizzo come strumento per fermare il tempo e vincere, seppure in maniera effimera, la morte. In “Imago mortis” si parla di disegni, di fotografie, di cinema e di cinema nel cinema, il tutto sospeso in un atmosfera lugubre, sotto la costante minaccia di un misterioso complotto che si annida tra le mura di una vecchia scuola di cinema, il “Murnau Institute”.

 


4. Lavorare con la figlia di Charlie Chaplin, Geraldine Chaplin e sua figlia, Oona Chaplin, le ha insegnato qualcosa di diverso? Quali emozioni ha provato?

 

E’ stato uno strano gioco del destino. Quando il personaggio della Contessa Orsini, proprietaria della scuola di cinema, ha preso forma nella mia immaginazione, le fattezze erano indiscutibilmente quelle di Geraldine. Al che, avendo come produttori quelli di Telencinco e quindi del film di Bajona “The Orphanage”, ho semplicemente provato a contattarla, inviandole subito una copia della sceneggiatura. La risposta tardava però ad arrivare, dunque ho proseguito nel casting, recandomi a Londra per scegliere la protagonista.

A quel punto la fortuna ha bussato alla mia porta nel più imprevedibile dei modi. E’ stato infatti solo dopo aver scelto Oona Chaplin che mi sono chiesto se avesse qualche parentela con Geraldine, scoprendo che quella ragazza era addirittura la figlia. Ed è stata proprio lei a rivelarmi che la madre aveva accettato di partecipare al film. Non mi sembrava vero: ero sul punto di dirigere madre e figlia, per la prima volta sullo stesso set.

Lavorare con loro è stato fantastico hanno il cinema nel sangue, sono veramente delle “macchine” da set.

 

II parte

 


5. Vorrei chiederle cosa ne pensa dell’attuale situazione del cinema italiano, dove non si vedono più pellicole degne di esser chiamate tali, tranne qualche eccezione; secondo lei, da dove sorge il problema? Dalla mancanza di fondi, dalla scarsa qualità degli addetti? Mi dica..

 

Credo che in Italia si facciano molte buone cose e che il nostro cinema sia in promettente ascesa. Sono avvilito quando sento tanto accanimento verso il cinema italiano e sono fortemente preoccupato dai continui tagli ai finanziamenti statali e dalla mentalità ottusa di chi li gestisce e decide. Se si fanno buoni film, che possano rappresentare degnamente la cinematografia italiana, è giusto che lo stato li finanzi, seppure parzialmente. Sinceramente non ci trovo nulla di immorale, dipende dai film e da quale circolazione avranno poi questi film. Certo finanziare film che non verranno mai visti e che a volte non si sa nemmeno se sono stati realizzati, questo probabilmente è sbagliato. Ci deve essere più controllo e più salvaguardia, tagliare i fondi non è una soluzione, significa semplicemente non voler affrontare il problema. Non si possono fare film senza soldi e il finanziamento statale è spesso il primo mattone che permette ai progetti di partire e di trovare il resto del budget necessario. Il cinema è una forma di espressione artistica regolata da dinamiche commerciali, ci si deve sforzare di accettarlo e fare di tutto per trovare il giusto compromesso, senza sprechi e senza pregiudizi


6. Rimanendo in tema, essere regista in Italia è sconveniente? Non ha mai pensato di produrre film all’estero?

 

Ci penso in continuazione e credo che in questo momento sia l’unico modo, forse, per riuscire a fare un film. Quello che mi chiedo è perché all’estero debbano “adottarmi” e aiutarmi a fare cinema.


7. Mi dia una sua opinione del cinema 3D; lei crede che veramente questa tecnologia possa portarci via l’emozione della tradizionale pellicola 2D?

 

Non saprei, personalmente il 3D non mi affascina. Io ho una formazione pittorica e la bidimensionalità per me è un pregio. Chiaramente ci lavorerei per fini commerciali e per provare a sperimentarlo.


8. So che sta lavorando su una nuova pellicola, Krockodyle: a quando la sua uscita nei cinema? Di cosa parla Krockodyle?

 

E’ la storia di Kaspar Toporski, un giovane filmaker di origini polacche trasferitosi lontano dalla sua città natale in giovanissima età. Kaspar è in attesa di risposte per riuscire a realizzare i suoi progetti cinematografici, così trascorre le sue giornate disegnando, scrivendo ed inventando un suo mondo immaginario che giorno dopo giorno sembra diventare sempre più reale. Nutre fin da bambino un’ammirazione sfrenata per i coccodrilli, che considera esseri perfetti in grado di controllare lo scorrere del tempo.

Kaspar discute spesso delle sue idee con Helix, una fotografa ossessionata dalla morte e dalla cattura per le immagini, della quale è anche timidamente innamorato. Frequenta inoltre un misterioso, quanto folle sarto che incarna le teorie sulla creazione e sui manichini elaborate dallo scrittore polacco Bruno Schulz e condivide la sua passione per il cinema con Bertolt, un suo collega filmaker che non ha mai superato il fallimento di un film rovinato dai pesanti interventi imposti dalla produzione.

Per fermare le sue idee, Kaspar inizia a realizzare un film su se stesso, una sorta di taccuino di appunti cinematografici, fatto di immagini catturate d’istinto, di disegni, di fotografie, di brevi animazioni, di suoni, di parole e di musica, di sogni e di incubi.

Con il passare del tempo ed il progredire del suo film però l’allontanamento di Kaspar dal mondo reale sembra farsi sempre più insistente, fino a portarlo a pensare di essere sull’orlo della follia e di essere lui stesso il frutto bizzarro della sua incontrollabile fantasia.

 

Questo progetto nasce dall’esigenza di lavorare in un modo differente da quello che normalmente si è abituati a fare in ambito cinematografico. Da molto tempo, soprattutto dopo la stressante esperienza della realizzazione del mio film “Imago Mortis”, sento la necessità di ricercare una leggerezza calligrafica che è normalmente più congeniale ad altre forme espressive, come ad esempio la pittura, la fotografia, o la grafica. Credo che molte volte le cose migliori nascano nel corso di sperimentazioni e ricerche e che il processo di pianificazione industriale, che i costi altissimi del cinema commerciale impongono, impedisce una fase creativa sincera che dovrebbe essere, a mio avviso, alla base di un linguaggio espressivo.

Questo film vuole essere un diario filmato, un taccuino fatto di appunti e riflessioni, di immagini e suoni, di parole e di musica, di sogni e di incubi. Una serie di mie personali considerazioni sul cinema, sulla fissazione per la cattura delle immagini e su cosa significa vivere da filmaker, con la testa perennemente tra le nuvole, in attesa di una telefonata che mi faccia sperare che forse, e dico forse, tra mesi, o anni, partirà un mio progetto cinematografico. Il tutto chiaramente infarcito delle mie passioni, o meglio delle mie ossessioni: l’anatomia, la zoologia, la raccolta di oggetti e le wunderkammer, i freaks e le stranezze, la generazione spontanea e gli omuncoli, la fotografia, il disegno… Inoltre vorrei che potesse essere l’occasione per poter esibire libere suggestioni dalle opere di Bruno Schulz, Christian Morgenstern, Lewis Carroll e da tutti quegli autori che mi ispirano e mi influenzano fin da quando ero bambino.

Non ho voluto mettermi davanti alla macchina da presa, non ne avevo la minima voglia, non ne sono capace e non sarebbe stato assolutamente interessante. Così mi sono fatto sostituire sullo schermo da un attore che ha vestito i panni di Kaspar Toporski, un filmaker immaginario che diviene il mio alter ego, quello che sono e che almeno nella mia fantasia vorrei o avrei voluto essere. Kaspar è circondato da una serie di altri personaggi che dividono con lui concetti ed ossessioni, in modo che il tutto possa essere diluito in una struttura narrativa e si possa cosi allontanare dalla struttura del documentario, o mockumentary che sia.

Il film che ho realizzato potrà apparire caotico, confuso, pieno di elementi e di riferimenti, ma è proprio questo il suo scopo, ovvero realizzare uno sketch-book cinematografico, un libro con tanti appunti da sviluppare ampiamente in progetti più grandi. C’è chiaramente una linea narrativa, necessaria per conferire al film una sua coerenza di racconto filmico. “Krokodyle” non vuole essere un film spettacolare o iscriversi forzatamente in una corrente di genere, anche se alcuni elementi potrebbero renderlo adatto, semplicemente vuole essere una riflessione sincera espressa in forma cinematografica.

Probabilmente, chi mi conosce dirà che in fondo non c’è nulla di inventato, che sono tutte cose di cui parlo sempre e che fanno parte della mia vita di tutti i giorni. Chi invece non mi conosce dirà che è tutto assurdo, forse dirà che sono tutte stupidaggini. Ma che mi importa di cosa dirà chi vedrà questo film, la cosa fondamentale è scrivere, disegnare, filmare e fermare nel tempo quello che fugacemente fa capolino nella mia fantasia.

 


9. Cosa consiglierebbe ad un/a ragazzo/a che vuol intraprendere la carriera cinematografica?

 

Di stringere i denti, di tenere duro, di guardarsi le spalle e soprattutto di non fidarsi di nessuno.


10. Infine, le chiedo, cosa direbbe a coloro che scaricano film illegalmente, e che se ne infischiano dell’emozione principale di un film, cioè la visione in sala?

 

Non sanno cosa si perdono.

 

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