Strade perdute
News - Ottobre 2011 |
La strada. Uno dei segni della storia dell’uomo, simbolo da sempre e per eccellenza della voglia di comunicare, viaggiare, esplorare, relazionarsi. Fin dall’antichità la strada – e le strade – erano l’irrinunciabile mezzo di progresso culturale, materiale ed umano di interi territori.
Noi dei Monti Dauni lo sappiamo bene; ancora conserviamo – affatto gelosamente, tuttavia – le vestigia delle antiche strade ed infrastrutture di collegamento dei Romani che, per tenere coeso il loro impero, avevano tra le priorità proprio le strade e gli acquedotti. Essi sapevano bene che nessuna parte del grande Impero poteva dirsi integrata se non aveva la possibilità di percorrerlo, di essere parte della grande rete economica, culturale e giuridica che avevano messo su ed hanno continuato ad estendere oltre ogni immaginazione.
Del resto, noi continuiamo, forse ignari, a percorrere la via Appia che da Roma terminava a Brindisi, con le famose due colonne. Quella strada era un’arteria dell’impero che metteva in collegamento Roma con il Mediterraneo. Dove non sono state distrutte, divelte, trasformate, le strade dei Romani sono ancora in buono stato, capaci di sostenere il transito di mezzi anche molto pesanti.
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Senza andare troppo lontano, le strade furono tra le priorità anche del nostro Paese, di cui quest’anno festeggiamo il 150° compleanno. Nell’epoca della ricostruzione industriale le infrastrutture, ed in primo luogo le strade, furono un obbiettivo primario, per far ripartire un paese fiaccato dalla guerra. Ma non avemmo la lungimiranza dei Romani. Costruimmo le strade privilegiando alcune parti del Paese, in funzione del futuro sviluppo industriale. Come se le merci non dovessero viaggiare in tutto il Paese e tutto il Paese non dovesse viaggiare.
Sì, perché costruire una strada o non costruirla significa segnare le sorti di un territorio, destinarlo ad un lento e quasi impercettibile oblio oppure immetterlo nella rete vitale degli scambi. E ciò vale non solo per la realizzazione delle strade, ma anche e soprattutto per la loro manutenzione. Qualsiasi opera, che non sia mantenuta in efficienza, perde la sua funzione, fino a svilire un territorio, fargli perdere, buca dopo buca, frana dopo frana, oltre al contatto col centro, anche la dignità di parte di una comunità più ampia.
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I nostri Monti Dauni sono a ridosso della Statale 90 delle Puglie, la vecchia strada che collegava Foggia a Napoli, vera arteria del vecchio regno di Napoli. In particolare, sulla statale 90, si innesta la ex S.S. 91, e le sue diramazioni, 91 bis e 91 ter, che collegano tra loro Bovino, Deliceto, Accadia. A collegare l’area dei Monti Dauni alle arterie autostradali A14 ed A16 ci ha pensato, poi, dopo decenni di attese, la superstrada Foggia-Candela. A Candela possono – abbastanza agevolmente – connettersi le strade di S. Agata ed Accadia, mentre Deliceto ha una sua uscita. A completare questa perfetta rete viaria doveva essere la cosiddetta Pedesubappenninica, tecnicamente la SR1, che, partendo dal casello di Candela, doveva raccogliere le vie per Accadia, S. Agata, Deliceto, Bovino, e poi ancora Troia, Lucera, fino ad arrivare già sulla dorsale adriatica, all’altezza di Lesina-Poggio Imperiale, a ridosso dello svincolo autostradale della A14 e della superstrada per il Gargano, quale ideale collegamento tra le due grandi anime della Capitanata: il Gargano, appunto ed i Monti Dauni. Tale idilliaco quadro di perfetta percorribilità del nostro territorio, tuttavia, non ha la benché minima rispondenza nella realtà.
La Statale 91, coi tronchi bis e ter, è ormai un colabrodo, invasa da buche e straziata da frane. Sintomatica è la situazione di Deliceto: delle tre strade che lo collegano al resto del territorio, due, quella per Accadia e quella per Bovino, proprio all’uscita del Paese, sono interessate da frane che stanno, lentamente, erodendo la sede stradale. Il tronco della 91 bis è da anni interrotto per una frana che non si riesce ad arrestare.
La strada di collegamento tra Bovino ed Accadia versa in una situazione non migliore.
I lavori di rifacimento delle cunette delle strade dei Monti Dauni hanno eliminato le cunette all’italiana, che, collegate tra esse mediante un sistema di pozzetti e canali profondi, riuscivano ad incanalare l’ingente quantità di acqua piovana dei mesi freddi, per sostituirle con quelle alla francese, chiaramente adatte per zone diverse. Il risultato è che le cunette, chiaramente inadeguate, riversano ad ogni curva e ad ogni cambio di pendenza, l’acqua nella sede stradale.
Ma l’apoteosi di tale stato di degrado, il simbolo dell’abbandono, dell’imperizia e dell’incuria è la Pedesubappenninica, o quello che ne è ancora.
Non è mai stata completata, non ha mai raggiunto nemmeno un terzo della sua lunghezza. È arrivata solo fino al Ponte di Bovino. Trenta chilometri dominati da buche, asfalto sgretolato, dislivelli del manto stradale.
I muretti contro terra troppo bassi tracimano fanghiglia e terriccio, le cunette, di cui sopra, sversando acqua sulla via, la rendono scivolosa ed insidiosa.
Squarci nell’asfalto si aprono senza preavviso. Rivoli d’acqua perenni tagliano la sede stradale e, ghiacciando d’inverno, hanno messo a repentaglio l’incolumità di più d’un viaggiatore.
Calcoli strutturali con evidenza errati, progettazioni frettolose e soprattutto realizzazioni al risparmio, con il bitume che, già prima dell’apertura ufficiale, si sgretolava al passaggio dei mezzi.
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La competenza in materia, dopo una prima generale suddivisione per tipologia di strade ed una temporanea competenza regionale, è stata affidata alle Province per tutte le strade, salvo quelle rimaste, con apposita designazione, allo Stato centrale – in genere quelle di interesse interregionale e nazionale – di cui si occupa l’ANAS, e quelle comunali, poche, in verità. Ma anche su quelle comunali, pensiamo ai tratturi, c’è molto da osservare. Solo il Comune di Deliceto, ad esempio, ha circa 200 km di tratturi, la grande maggioranza dei quali è impercorribile con mezzi ordinari. I tratturi, memoria anche del territorio, con nomi che identificano antiche contrade e tramandano storia, non hanno meno dignità delle strade di maggior comunicazione. Tuttavia, pochi cittadini si sognerebbero di avventurarsi su strade sterrate che in alcuni tratti sono accessibili solo a mezzi agricoli o a fuoristrada. Ma tanta parte di responsabilità, in questi casi, è anche dei frontisti, che non solo non rispettano i cigli, le cunette, i divieti di percorrere le strade coi cingolati, ma arrivano ad appropriarsi di parte delle strade, quasi per marcare un territorio, per impedirne l’accesso a tutti.
Eppure proprio i tratturi comunali potrebbero essere l’attrattiva di un territorio, un modo di scoprirne l’anima segreta, selvaggia ed affascinante.
Riappropriarsi delle strade significa riappropriarsi della libertà di viaggiare, di comunicare e, metaforicamente, di andare avanti.
Ne saremo capaci, noi cittadini dei Monti Dauni? Speriamo di non attendere altre generazioni per conoscere la risposta.
G.I
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